02 September 2025

Da “Mia Moglie” a “Phica”: quando la violenza passa anche dai social

Nell’ultimo mese ha suscitato grande indignazione la vicenda della pagina Facebook “Mia Moglie”, un gruppo pubblico che raccoglieva oltre 30.000 iscritti, molti dei quali con profili privati o anonimi. Al suo interno venivano pubblicati contenuti offensivi e umilianti, comprese fotografie, riguardanti non donne qualunque ma le stesse mogli o compagne degli utenti, ritratte e derise a loro insaputa, trasformate in oggetti di scherno, possesso e violenza dai cosiddetti “leoni da tastiera”.

La diffusione di simili contenuti, oltre all’impatto culturale, solleva questioni rilevanti sotto il profilo giuridico e della tutela effettiva delle vittime.

Nonostante le denunce a Meta e alla Polizia Postale presentate già diversi mesi fa da parte di alcune donne, il gruppo è stato chiuso da Meta soltanto il 20 agosto, per violazione delle policy contro lo sfruttamento sessuale di adulti, e solo dopo che il caso è stato portato all’attenzione del grande pubblico grazie ad un post su Instagram di Carolina Capria, scrittrice e autrice della pagina “L’ha scritto una femmina”, seguita da oltre 180.000 persone, perlopiù donne.

Pochi giorni più tardi è stato rimosso anche il sito web “Phica”, analogo spazio virtuale dove venivano diffusi contenuti pornografici senza consenso.

Il diritto penale offre diversi strumenti per sanzionare condotte di questo tipo: dalla diffamazione al revenge porn, fino alla violenza privata, quando la pubblicazione ha finalità di pressione o intimidazione. In certi casi possono configurarsi anche lo stalking o i maltrattamenti in famiglia, qualora la vittima sia identificabile e l’offesa si inserisca in un contesto di violenza domestica.

Sul piano civile le donne che subiscono tali comportamenti hanno il diritto non solo di interrompere la relazione coniugale o di convivenza, ma anche di chiedere il risarcimento dei danni, patrimoniali e non patrimoniali. La giurisprudenza riconosce infatti il pregiudizio derivante dalla lesione della dignità, della reputazione e dell’equilibrio psico-fisico, traducibile in una condanna pecuniaria a carico del responsabile.

L’utilizzo dei social network come strumento di violenza rende indispensabile agire tempestivamente: denunciare i fatti e rivolgersi subito a un legale di fiducia per ottenere giustizia. Nei procedimenti di separazione giudiziale, episodi di questo genere possono costituire motivo di addebito della separazione a carico del coniuge responsabile delle condotte diffamatorie.

Chi si trova vittima di simili abusi non deve sentirsi sola.

Presso il mio studio offro assistenza dedicata alle donne che intendono uscire da situazioni di violenza, avviare un percorso di separazione e ottenere il giusto risarcimento per il danno subito.

 

Studio legale avv. Elisa Gaiani
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