Con l’ordinanza n. 11337 del 30 aprile 2025, la Corte di Cassazione torna a pronunciarsi sul delicato equilibrio tra doveri morali, relazioni affettive e ripartizione patrimoniale nei rapporti di convivenza more uxorio, chiarendo ancora una volta i limiti dell’azione generale di arricchimento senza causa ex art. 2041 c.c.
La Suprema Corte ha ribadito che non è possibile invocare tale rimedio quando l’arricchimento sia frutto dell’adempimento di un’obbligazione naturale, come nel caso dei versamenti effettuati tra conviventi nell’ambito di un rapporto consolidato, laddove tali dazioni risultino proporzionate e socialmente doverose.
Nel caso di specie un uomo, che svolgeva il lavoro di operaio, aveva pagato per intero, durante la convivenza durata tre anni, le rate di mutuo della casa intestata alla compagna, ove la coppia aveva convissuto. La compagna all’epoca era una psicologa tirocinante e la rata del mutuo era di circa 660 euro mensili.
La Corte ha riconosciuto che l’impegno economico assunto da uno dei conviventi – nel caso di specie, il pagamento integrale delle rate di mutuo dell’abitazione comune da parte dell’unico percettore di reddito – non esula dal perimetro dell’obbligazione naturale se, come ritenuto dal giudice di merito, è commisurato a quanto sarebbe stato speso in un canone locativo e, quindi, proporzionato alle circostanze del caso.
L’obbligazione naturale, riconducibile a un dovere morale e sociale, trova qui un ancoraggio concreto nella formazione sociale rappresentata dalla convivenza stabile, la quale impone forme di collaborazione e assistenza che la coscienza collettiva considera normalmente dovute.
Ne risulta che l’azione di arricchimento è ammissibile solo in presenza di prestazioni eccedenti i limiti della proporzionalità e dell’adeguatezza rispetto al contesto socio-economico della convivenza: un accertamento di fatto che spetta esclusivamente al giudice di merito e che resta, pertanto, incensurabile in sede di legittimità.
L’ordinanza si inserisce nel solco di un orientamento giurisprudenziale ormai consolidato, secondo cui l'attribuzione patrimoniale a favore del convivente more uxorio, sia che essa si configuri come erogazione di danaro, sia come attività o prestazioni di cui si avvantaggia l’altro convivente, configura l'adempimento di un'obbligazione naturale qualora essa sia adeguata alle circostanze e proporzionata all'entità del patrimonio e alle condizioni sociali del soggetto che paga; dunque non è possibile, una volta terminata la convivenza, ottenere il rimborso di ciò che si è spontaneamente pagato in precedenza, salvo dimostrare che si trattasse di un prestito oppure che tale pagamento travalicasse il principio di proporzionalità e adeguatezza.
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